PRIMO, il Premio Italiano del Musical Originale è arrivato quest'anno alla sua seconda edizione. Noi di BroadwayWorld Italia abbiamo intervistato per voi Franco Travaglio, autore e traduttore di musical e cofondatore del premio in questione. Ecco cosa ci ha raccontato.
BWW: Cominciamo parlando un po' della storia del premio.
PRIMO è nato l'anno scorso per festeggiare i 15 anni del sito Amici del Musical e celebrare il Musical in Italia. C'erano già diverse iniziative che premiavano i musical esistenti, e così io e i collaboratori della rivista di Amici del Musical abbiamo deciso di puntare sui musical nuovi, che in questo periodo hanno difficoltà a farsi strada. Abbiamo subito raccolto l'adesione e la collaborazione in giuria di grandi professionisti del musical, tra cui Saverio Marconi, Simone Manfredini, Federico Bellone, Marco D. Bellucci, Gabriele Bonsignori, Marco Bosco, Shawna Farrel, Marco Iacomelli, Angelo Galeano, Fabiola Ricci, Gianni Marras, Dino Scuderi e da quest'anno anche Clemente Zard, figlio e coproduttore di David Zard, Giovanni Maria Lori e Gianluca Cucchiara. Da questa edizione poi abbiamo instaurato una fondamentale partnership con musical.it grazie alla disponibilità di Massimo Davico.
BWW: Cosa avete imparato degli autori di musical italiani giudicando i loro inediti?
L'esito della prima edizione è stato al di là delle nostre aspettative, perché abbiamo avuto tantissime opere in gara, e anche quest'anno siamo stati stupiti dalla quantità di opere pervenute. Pensavamo che dopo la prima edizione si fossero svuotati i cassetti degli autori, invece c'è stata di nuovo una grande affluenza. Questo significa che ci sono tanti autori che puntano sul musical, e vanno aiutati. Inoltre abbiamo visto una grande cultura per quanto riguarda questo genere: i musical che abbiamo visto si rifanno a dei modelli non scontati e denotano una certa conoscenza di quello che è il musical all'estero. Dall'altro lato questo ci ha fatto capire anche che c'è bisogno di una via un po' più originale, un po' più italiana rispetto alla scrittura del musical. Ma ovviamente questo non si può improvvisare; prima bisogna conoscere a fondo la tradizione anglosassone e poi magari andare avanti nel processo e cercare di fare qualcosa di più nostro.
BWW: Molti spettacoli che hanno successo in Italia sembrano più vicini alla commedia musicale sistiniana che al musical vero e proprio. I partecipanti al concorso hanno chiara la differenza tra le due cose? A quali genere si rifanno i loro lavori?
Il modello più ricorrente è quello del musical drammatico, spettacoli molto impegnati con trame molto dense che si rifanno agli spettacoli degli anni '80-'90 e ai grandi blockbuster alla Lloyd-Webber. Notiamo invece la mancanza di spettacoli più leggeri, che sarebbero anche più vendibili, perché si sa che attualmente in Italia, e anche all'estero, funzionano molto i musical per famiglie. Se si riuscisse a scrivere con più leggerezza e comicità ci sarebbe una possibilità maggiore di vendere i propri spettacoli. Evidentemente gli autori sono molto affascinati dalle grandi storie e questo influisce sulle loro scelte.
BWW: Molti spettacoli scritti di recente sono usciti dalla penna di musicisti che si occupano prevalentemente di altro (come ad esempio Marco Frisina). A quel che avete visto esaminando le opere dei giovani autori secondo voi oggi esiste l'autore di musical di professione?
Abbiamo notato che non ci sono autori improvvisati, ci sono gruppi di autori che hanno presentato più di un musical. Non è gente che lo fa solo per hobby, è gente che ha investito molta parte del proprio tempo in musical scrivendo e riscrivendo, quindi potrebbe nascere una scuola di autori di musical professionisti. Quello che manca per trasformare la passione in un mestiere è il mercato. È difficile puntare su autori che non abbiano una fama proveniente da altri mondi. Perché nasca una scuola di autori professionisti c'è però bisogno da un lato della nascita di un genio assoluto che con il solo valore della musica riesca a convincere i produttori a dargli fiducia - ma finora non l'abbiamo trovato - e dall'altro la nascita di un sistema teatrale che possa puntare sui giovani. Perché ovviamente se i giovani non hanno tempo e risorse per approfondire il loro lavoro, scriveranno musical meno interessanti. A Londra e a New York ci sono produttori che finanziano a fondo perduto compositori e autori affinché sviluppino nuovi progetti, da noi attualmente sarebbe impensabile.
PRIMO può essere anche un'opportunità da questo punto di vista. Di preciso quali opportunità si aprono per chi vince il concorso?
L'opportunità principale è la menzione speciale. Sotto l'egida di S. Marconi tre grandi scuole - che sono la Bernstein School of Musical Theatre, la Scuola del Teatro Musicale di Novara, e la Scuola Del Musical di Milano - se trovano un'opera particolarmente interessante la mettono in scena come saggio (premio non automatico, ad esempio l'anno scorso non è stato assegnato).
Un'altra opportunità è quella di presentare il workshop nel corso di una serata che si tiene a giugno a Torrita di Siena (che è un centro molto attivo, dove abbiamo fatto molti workshop e c'è una bella attività teatrale e didattica), nel corso della quale vengono presentati showcase delle opere vincitrici, e anche le opere non finaliste possono presentare una canzone. Un'altra opportunità è quella di partecipare gratuitamente a stage e workshop, e ovviamente presentare le opere online, che è comunque un modo per avere visibilità [le opere finaliste vengono presentate sul sito del premio; NdR].
Naturalmente l'ideale sarebbe che prima o poi si trovasse un'opera talmente interessante da essere prodotta da uno dei produttori in giuria.
BWW: La realtà italiana per quanto riguarda il musical non è famosa per essere una realtà particolarmente fiorente, arretrata rispetto all'estero. Secondo te c'è speranza per questo genere in Italia o no?
È ovvio che siamo indietro perché il musical in Italia è nato relativamente da poco. Il musical italiano ha inizio con Garinei e Giovannini, che conoscevano i musical americani e hanno chiamato i loro spettacoli 'commedie musicali', che è una esatta traduzione di musical comedy, accezione da cui nasce la parola 'musical'. Quello che invece è venuto solo dopo è la nascita di un mercato vasto, con tante compagnie che mettono in scena, oltre ai titoli nostrani, i grandi revival dei musical americani, processo che si è avviato grazie a produttori come la Compagnia della Rancia, la quale all'inizio si è avvalsa anche della collaborazione di professionisti venuti dall'estero.
Dall'altro lato il grande scoglio che ci impedisce di fare musical in Italia è il sistema teatrale italiano. Si è tentato, con l'esperienza di Stage Entertainment, di importare in Italia il sistema produttivo anglosassone, cioè di fare spettacoli che restano in teatro per molto tempo ("La Bella e la Bestia" ad esempio è stata in scena da ottobre e maggio ininterrottamente). Questo esperimento però si è perché scontrato con un momento di grave crisi economica e da alcune stagioni Stage Entertainment non produce in Italia, ma la sua esperienza ha rappresentato comunque un punto di rottura: ci sono state alcune produzioni che sono nate sulla scia di quel modello ("Priscilla", "Dirty Dancing", etc.). Attualmente la situazione è in bilico, staremo a vedere come si evolverà. Come diceva Eduardo, "ha da passa' 'a nuttata".
In Italia la maggior parte delle produzioni di giro sono medio-piccole, senza musica dal vivo, organici ridotti, scenografie non imponenti eccetera, ma ovviamente sarebbe bello che anche da noi il musical nella forma più eclatante non fosse un'eccezione. Speriamo che non avvenga il contrario, ovvero che sia l'Italia a colonizzare Broadway con gli spettacoli con le basi, come molti temono, ma per ora pare che per fortuna sia solo fantascienza.
BWW: Quando si parla dei revival dei grandi musical ci si concentra molto su "quanto" viene messo in scena e magari meno sul "come". Tu che ne pensi?
È un rischio. Ci sono stati produttori che puntavano soprattutto alla cassetta. Ma questo non avviene solo da noi. Per esempio l'escamotage della star televisiva usata per attirare pubblico non è usato solo in Italia. All'estero sono stati creati addirittura dei reality per scegliere il protagonista di un musical, oppure si è puntato su star non di formazione teatrale. Io francamente non mi scandalizzo troppo, a parte quando si trovano celebrità particolarmente impreparate che magari non c'entrano niente coi personaggi che interpretano. In ogni caso se la scelta è tra non mettere in scena niente e mettere in scena un musical con un nome televisiva preferisco la seconda opzione.
Comunque al livello di cast siamo molto migliorati rispetto agli ultimi anni: oggi anche spettacoli di media qualità hanno dei cast di tutto rispetto, perché è cresciuta una generazione di artisti che ci permette di avere delle grandi risorse umane.
A proposito, che cosa pensi del proliferare di stage, workshop e masterclass, che ormai sono di gran lunga più numerose rispetto alle produzioni?
Bisogna guardare se l'interprete ha effettivamente un'esperienza. Se uno stage è tenuto da un artista che fa musical, ed insegna forte della sua professionalità le discipline del teatro musicale, o aspetti specifici, ad esempio come affrontare i provini (che è una cosa che molti interpreti emergenti non padroneggiano del tutto, perché non hanno mai affrontato un'audizione) ben venga, l'importante è che non siano solo iniziative commerciali. Il 90% delle persone che vedo fare stage sono comunque persone correttissime, che spesso conosco personalmente e di cui mi fiderei ciecamente.
BWW: Su BroadwayWorld - Italia abbiamo una rubrica che parla proprio dei vari luoghi dell'istruzione musicale in Italia (accademie, conservatori, scuole di musical). In quale di questi luoghi manderesti uno che vuole cantare o scrivere?
Premetto che collaboro con varie scuole e quindi - per evitare un conflitto di interessi - eviterò di consigliarne una in particolare.
In generale consiglio di controllare i curriculum degli insegnanti e frequentare gli open day. Le accademie si svolgono su una durata di due o più anni, quindi prima di iscriversi bisogna toccare con mano, andare a vedere di persona se fanno per te o no. Non decidere a scatola chiusa, insomma, anche perché ormai di scuole per fortuna ce ne sono tante.
L'accademia la consiglio a chi parte da zero e vuole avere una formazione di base, gli stage invece vanno bene per chi vuole approfondire. Il performer vero non finisce mai di imparare, lo sappiamo: abbiamo interpreti affermati che continuano a frequentare stage, in Italia e all'estero.
BWW: Tornando al concorso, quali sono i punti di forza degli spettacolo che vi vengono inviati? E i punti deboli?
I punti di forza sono gli arrangiamenti, la cura delle voci, il modo di presentare lo spettacolo. Abbiamo demo fatti da performer molto conosciuti e molto bravi, c'è una grandissima cura del prodotto. A volte però sarebbe meglio fare un demo meno altisonante e curare di più le fondamenta dello spettacolo (per quanto non negherò che un demo fatto bene è un buon viatico per le opere di qualità). Poi apprezzo la passione con cui vengono scritti gli spettacoli, in molti casi sono musical ben costruiti.
Tra i limiti possiamo annoverare un'attenzione alla musica che supera quella riservata all'aspetto teatrale. Sarebbe meglio, prima di scrivere un musical, conoscere le regole base della drammaturgia, ad esempio che non si possono mettere due o tre ballad una dopo l'altra, o che i finali d'atto devono avere caratteristiche particolari. Piccoli accorgimenti anche banali che se non rispettati a volte pregiudicano il passaggio in finale. Per non parlare, per fortuna solo in alcuni casi, di problemi di metrica: le parole devono combaciare bene con la musica senza forzature fastidiose o 'amor', 'cuor', 'andiam' stile operetta...
BWW: Come vedi la situazione quest'anno? C'è stato un miglioramento rispetto agli anni scorsi? E per gli anni scorsi cosa prevedete?
Il livello è sostanzialmente quello dell'anno scorso, anche se è sempre difficile parlare in maniera globale, bisognerebbe fare un discorso a parte per ogni opera. In generale quello che vediamo è che purtroppo non ci sono trame troppo interessanti, e i titoli che magari funzionerebbero, non sono spendibili, perché è difficile averne i diritti o hanno ensemble troppo grandi per essere rappresentati. Tim Rice quando elargisce consigli dice di partire sempre dal piccolo, dallo show che si può mettere in scena con due sedie e pochi attori. Non è un consiglio così peregrino, perché se fai bene con poco vuol dire che sei davvero bravo.
Se ci fossero spettacoli ben scritti e facili da rappresentare, si potrebbero mettere in scena. Ma sono il primo a dire, visto che anch'io mi diletto a scrivere musical, che è difficile trovare la storia giusta per essere musicata e che faccia anche gola ai teatri italiani.
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