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FANTASMI... da favola!

By: Oct. 22, 2013
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I fantasmi tornano sempre, e tornano sempre in forme diverse! Dopo il successo riscosso alla Sapienza il 17 gennaio con l'allestimento semi-scenico (qui l'articolo), FANTASMI A ROMA è tornato in veste di concerto al Teatro Olimpico di Roma - per un'unica data - diretto e coreografato da Fabrizio Angelini e prodotto da Niccolò Petitto e Massimo Sigillò Massara, che ne firma anche le musiche e gli arrangiamenti (questi ultimi in tandem con Roberto Agrestini). La musica è eseguita dal vivo dal Palermo Art Ensemble.

Non trattandosi di una messa in scena definitiva non scriverò una vera e propria recensione. In queste pagine vorrei esaminare con occhi e orecchie di un comune spettatore l'intera partitura dello spettacolo, brano per brano, limitandomi semplicemente a qualche 'appunto'.

La scena si apre su Giampiero Ingrassia, narratore d'eccezione, che ci introduce nel mood della vicenda descrivendo con una punta di nostalgia la Roma degli anni '60. Facciamo dunque conoscenza con il Principe Annibale di Roviano [interpretato dall'instancabile Carlo Reali], anziano nobile decaduto a cui resta 'soltanto' il suo palazzo e i suoi amici fantasmi, e con Regina [Simona Patitucci - anima, corpo e voce di FANTASMI A ROMA - dalla cui idea ha preso vita l'intero progetto], attrice di teatro caduta in rovina... un po' mendicante e un po' medium. Le note dell'overture crescono sfociando nell'opening (establishing) number Vivere, leit-motif che scandirà le varie 'fasi' della narrazione. Durante il numero, Regina dà prova delle sue doti medianiche evocando i fantasmi dei Roviano. Già i primi versi mettono in risalto i temi che impregnano l'intera opera: la luna, la nostalgia, la notte, il ricordo, la 'spiritualità,' il passato sempre presente. "Voci lontane risuonano qui, tornano a vivere ancora": qui Gianfranco Vergoni (autore del testo e delle liriche) accosta intelligentemente i suoni n e o - che esprimono vuoto, nulla, oscurità - al suono r - che invece abbraccia, protegge, rassicura... e ditemi, c'è qualcosa di più misterioso e rassicurante dei 'fantasmi' (o 'angeli') dei nostri cari? Altre allitterazioni e rime interne infarciscono questa splendida melodia dai toni onirici: "oltre la coltre di polvere," il climax "alita/s'alza/s'anima," "come fosse esistere il nostro resistere qui," "non c'è differenza, tra assenza ed essenza" ecc. Purtroppo, il numero fa un po' di fatica a prendere il volo... forse a causa di un ensemble vocalmente impeccabile ma leggermente impacciato sulla scena.

Fortunatamente, a risollevare le sorti dello show interviene subito Carlo Reali con l'ammiccante Vecchi amici fantasmi. Il numero è idealmente diviso in due parti: nella prima, tra un gioco di parole e l'altro, il principe Annibale illustra al pubblico e ai due scettici stagnari [Fabio Monti e Vasco Giovanelli] come i fantasmi generalmente si manifestano ai sensi (sentire l'armadio che scricchiola e la porta che sbatte, fiutare le fragranze di violette appassite, vedere la tenda che si muove...); nella seconda parte, si passano in rassegna le storie dei tre fantasmi che abitano il palazzo. S'inizia dal più antico Fra' Bartolomeo [un simpatico Toni Fornari], per poi passare al dongiovanni Reginaldo [un elegante Cristian Ruiz] e alla svampita ma profonda Donna Flora [l'eterea Renata Fusco]. Anche qui le trovate musicali di Sigillò hanno un non-so-che di geniale e, insieme con liriche frizzanti e spassose, rendono il numero uno dei più riusciti. Ne è la prova il fatto che, già nel foyer del teatro, il pubblico canticchiasse: "Son sicuramente dei fantasmi, assolutamente son fantasmi..."

Sempre introdotta da Ingrassia, Regina irrompe sulla scena attraversando la platea dalla navata centrale regalandoci un'energica performance di Regina senza regno - sicuramente nella mia personale top three . Questa potente I am song, il cui stile ricorda quello di "Canzone arrabbiata" di Nino Rota (già colonna sonora del film del '61 cui la commedia s'ispira), racconta di come questa donna abbia perso tutto per amore attraverso una serie di rime e assonanze graffianti: la doppia t (gatti/letti), la doppia m (stemma/dramma/fiamma), l'accostamento di o, r, d (ricordi/sordi), il fonema gl- (gigli/figli/consigli)...

Filologismi a parte, incontriamo adesso più da vicino Fra' Bartolomeo e la sua passione per la cucina. La canzone - il cui titolo, Pancia mia fatti capanna, è già emblematico - è un allegro madrigale medievale con tanto di coro gregoriano in cui il frate snocciola un menù di gustosi piatti romani. Purtroppo, i volumi dell'orchestra spesso e volentieri (e in modo particolare in questo numero) hanno coperto le voci rendendo ostica la comprensione del testo. Nonostante ciò, il brano risulta piacevole e sicuramente più 'sprint' della versione incisa sul disco... anche se ancora troppo lungo. In più fa venire una gran fame! Per fortuna, dopo lo spettacolo, lo chef Fabio Campoli ci ha accolto nel foyer con una succulenta sorpresa culinaria...

Altro numero di gran comicità è Carletta con la T. Giocando con congiuntivi e condizionali, Vergoni e Sigillò si son divertiti (e hanno fatto divertire anche noi!) nel mettere insieme questa sgrammaticata missiva che la portinaia di palazzo Roviano, Carletta [Roberta Albanesi], scrive per il suo ragazzo sotto l'occhio 'lungo' di Reginaldo.

Sul più bello, l'ingegner Tartina - "mai in ritardo, sempre fuori tempo" - interrompe le cerimonie per presentarsi. Ingrassia spiega che l'ingegnere è molto interessato a comprare palazzo per poterlo demolire e far spazio a un gran supermercato (non è per niente attuale, vero?). I fantasmi si oppongono e gliene combinano di tutti i colori in Noi semo l'anime, brano brillante che affonda le sue radici nella tradizione musicale romana. Tanti sono i versi che scatenano l'istantanea risata del pubblico da "Noi semo l'anime de li mejo mortacci" a "[...] Bello Trastevere, ma vuoi metter Verano".

Dopo tre momenti 'spensierati', gli equilibri di questa favola impongono un numero di grande patos. Questo non tarda ad arrivare con la struggente E finalmente via - anche questa nella mia top-three. Lo show-stopper affidato a Donna Flora - gettatasi nel Tevere per amore - descrive minuziosamente il suo suicidio con un crescendo che va dal pallore, prosegue con tremore, lacrime amare, asfissia, febbre, tachicardia, freddo per poi finire nel nulla, la morte. Penetrante lo schema rimico amore/cuore che, sebbene venga spesso etichettato come 'banale', qui acquista un senso particolare... dal momento che il climax si chiude con muore.

Il primo atto si conclude con la dipartita del principe Annibale, ostinato a voler riparare da sé lo scaldabagno che, scoppiando, provocherà la sua morte. Musicalmente, ritorna il tema di Vivere che ci accompagna fino all'ingresso in scena di due nuovi personaggi - Federico, l'unico erede Roviano, e la fidanzata Elena - intenzionati a cedere alle avances dell'ingegner Tartina... un accorato e agghiacciante NO e poi, sipario.

Il secondo atto inizia con una Serenata alla luna, eseguita dal romantico Reginaldo. D'impatto il ben studiato parallelismo tra la luna - irraggiungibile, che sta lì, ma non brilla di luce propria - e il fantasma che, come lei, finge la vita. La splendida melodia è costruita in modo tale da dare a Ruiz la possibilità di far venir fuori dei bassi caldi e lugubri allo stesso tempo. Un personaggio è come un vestito e, come un vestito, deve valorizzare chi lo indossa. Questo è proprio il caso! Anche Serenata alla luna è nella top-three... da brivido.

Immediatamente dopo, tra le mie preferite, c'è Figlio d'arte. Dopo un breve intro sulle note di Vivere, la melodia sfocia nel combattuto assolo di Federico [un Andrea Croci un po' sottotono questa volta], che si sente oppresso dal peso della sua famiglia. Questo senso di oppressione viene brillantemente trasposto in musica e parole grazie, anche qui, a suoni taglienti e affascinanti: scuri/cupi/duri, pesanti tende stinte/polverose quinte, morente/niente, armatura/paura, sudario/sipario...

Tentar non nuoce è il brano affidato a Elena [una sensuale Elisa Marangon] per il suo numero da night-club. Qui, possiamo dirlo, Vergoni si è sbizzarrito nel suo ruolo di 'Parolaio Matto' componendo dei versi uno più accattivante dell'altro: deviante amante e mantide/fa di te un martire; ti mastica sarcastica, caustica e drastica ti sputa via/erotica ed eretica; brucia tra braci e abbracci; sollecita ed illecita/recita, ti eccita... I giochi di parole si sposano alla perfezione con l'ammiccante melodia di Sigillò che strizza l'occhio al mondo del varietà e dell'avanspettacolo risultando sempre squisitamente italiana.

L'eleven-o'clock number viene affidato al buffo marpione Tartina [un frizzante Giancarlo Teodori] che illustra ai suoi soci in affari il metodo (anche questo, ahimè, squisitamente italiano) delle Mazzette. Inutile star qui a ripetere quanto siano efficienti le liriche, i versi parlano da soli: rime interne, allitterazioni, anafore, epifore e chi più ne ha più ne metta. La marcetta spumeggiante entra subito nelle orecchie del pubblico - che quasi saltella sul sedile - e dà la possibilità al cast di cimentarsi in una semplice ma gioiosa coreografia.

I nuovi padroni di casa cominciano a far pulizia e a gettar via tutto il vecchiume che il buon Annibale conservava così gelosamente. I fantasmi, vedendosi privati degli oggetti a cui sono legati, cominciano a diventare sempre più diafani. Interviene dunque Regina che, nel Quartetto, cerca di mettersi in contatto con l'aldilà... tanto da farsi quasi "possedere" dai tre spiriti. Sono molto interessanti le scelte musicali operate per questo brano: ritorna, ancora una volta, il tema di Vivere su cui viene costruito un blend da pelle d'oca con i leit-motif dei rispettivi personaggi che culmina con una struggente ripresa di Regina senza regno... forse il solo momento di folle lucidità della mendicante.

Per stemperare un po' la tensione, dopo un numero così pieno di emotività, il team creativo ha ben pensato di inserire il brano Godi, godi, godi - spinto, ma mai volgare - affidato al roboante Caparra [un convincente e spassoso Roberto Rossetti], questa volta in un'inedita versione marchigiana. Reginaldo e Fra' Bartolomeo vanno a chiedere aiuto al fantasma di un pittore cinquecentesco, rivale del Caravaggio ma decisamente inferiore. Il numero rievoca "i piaceri della carne" dei tre fantasmi... che ormai possono solo vedere e non toccare. Esilarante l'omaggio al Ballo del mattone (che qui diventa il Ballo del fantasma).

Altro momento che riprende idealmente il concept del Quartetto è Se fossi come lei, limpido duetto tra Flora, profonda ed eternamente innamorata dell'amore, ed Elena, cinica e arrivista. Non si potrebbero immaginare due donne più diverse tra loro: da un lato c'è l'evanescenza, dall'altro la carnalità. Eppure entrambe desiderano essere l'una come l'altra. Il numero culmina con un'intelligente inversione di temi musicali (Elena intona E finalmente via mentre Flora controbatte con Tentar non nuoce), proprio per sottolineare questa voglia di sperimentare una vita diametralmente opposta.

I fantasmi trovano una soluzione: realizzare un dipinto all'interno della casa dimodoché questa possa essere decretata 'reperto storico.' Per valutare L'affresco ritrovato, l'esperta d'arte Egle Bizantini in Carcasson [la spigliata Carlotta Maria Rondana] interviene a palazzo Roviano per rilasciare la sua perizia. Il numero musicale che accompagna il punto di snodo finale della trama riprende le melodie di Vecchi amici fantasmi, Noi semo l'anime e Mazzette. Le liriche non tradiscono ciò che finora hanno dimostrato e scorrono deliziosamente sulle note di Sigillò impartendo anche una piccola lezione di storia dell'arte. Spassosissimi gli interventi del Caparra che inveisce rabbioso contro la Bizantini che non fa che sminuire le sue capacità artistiche (tra questi, in modo particolare, il motto Capra! di un "certo" Vittorio Sgarbi).

Così come le fasi lunari, il ciclo di questo spettacolo si chiude con la canzone che l'ha aperto: Vivere (Gran finale). Un bel numero corale che accoglie il vecchio Annibale, ricongiuntosi con i suoi amici fantasmi, e conclude in bellezza questa favola musicale destinata a rimanere nella memoria del pubblico romano per tanto, tanto tempo.

Le considerazioni finali si possono desumere da quanto ho scritto fin ora: liriche intelligenti, musiche accattivanti, una storia senza età e un cast senza paragoni rendono questo spettacolo uno dei più attesi della stagione e, a gran felicità di tutti i suoi fan, proprio ieri Simona Patitucci - a fine spettacolo - ha annunciato un imminente debutto definitivo di FANTASMI A ROMA in primavera... non ci resta che continuare a seguirli!



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