UNA CRUDA PRESENTAZIONE DELLA "FAMIGLIA TRADIZIONALE" E DEI SUOI SCHELETRI CHIUSI NELL'ARMADIO IN SCENA FINO AL 4 NOVEMBRE
Un debutto molto simbolico quello della pièce Nell’ardore della nostra camera, volutamente avvenuto il 2 novembre - giorno della commemorazione dei defunti - nella Sala Piccola del teatro Tor Bella Monaca. Il testo scritto da Massimo Sgorbani esplora, analizza e scandaglia fin nei minimi particolari quella “famiglia tradizionale”, argomento di grande attualità di cui purtroppo ai nostri giorni in molti parlano a sproposito. Una vedova siede in chiesa di fronte alla bara contenente il corpo del marito morto per un eccesso di viagra. In un monologo straziante e violento la donna da sfogo alla repressione subita da un marito invadente che ha rappresentato in pieno quel maschio patriarcale frutto di una tradizione cattolica e ipocrita: una figura che nonostante il passare dei decenni sembra sia impossibile sradicare.
Questo uomo pur di non rinunciare al suo potere, ha annichilito la moglie, esaltato una figlia adorante fino al punto di condizionare le sue relazioni amorose e traumatizzato il figlio che vedeva come un concorrente alla sua supremazia maschilista. La donna ha subìto per tutta una vita e nonostante vittima di una malattia artritica degenerante, non è riuscita ad opporsi alle intemperanze di un marito dominante. Nel suo drammatico sfogo, ora che lui non può reagire, ricorda tutte le sofferenze subite, tutte le angherie e le violenze psicologiche che lui le ha inflitto, così come ai suoi figli. Ne esce una raffigurazione cruda e estremamente realistica della nostra società basata su una preponderante ipocrisia che sembrava essersi dissipata con la rivoluzione sessuale e le proteste degli anni ’60 e ’70 ma che è invece pesantemente tornata ad imporsi soprattutto in questi ultimi anni. Attraverso i ricordi e i rimproveri sulle vicissitudini della propria famiglia, gelosamente tenuti chiusi nell’armadio, la donna “vomita” sulla bara del marito tutta la repressione subita, arrivando a confessare il piccolo aiuto da lei escogitato per far cedere quel suo forte cuore da toro infuriato: le extra dosi di viagra segretamente e continuamente sciolte nel suo bicchiere di vino. Un segreto che finirà per restare chiuso nell’armadio assieme a tutti gli altri. Lei non è pentita, perché sa di averlo fatto per la sua salvezza e per quella dei suoi figli. Come sa di non poter avere una rivincita reale, una rivincita da potergli sbattere in faccia ora che lui non c’è più. Ed è mera consolazione aver dovuto escogitare quello stratagemma per non aver avuto la forza di ribellarsi quando lui era in vita. Non è certo un esempio da seguire, ma sappiamo bene quante donne non hanno scampo, non riuscendo a liberarsi da uomini possessivi, padroni e violenti. Il grande numero di femminicidi ne è una testimonianza evidente. Che questa drammaturgia sia uno sprone alla ribellione e non un suggerimento a prendere azzardate scorciatoie.
Alla regia di questo testo, Paolo Orlandelli ha saputo coglierne la sottile violenza che può nascere solo da una così lunga sottomissione. A completare la buona riuscita della pièce, nei panni della vedova, Donatella Busini ne ha dato una interpretazione sentita e drammaticamente bilanciata tra i numerosi scatti di rabbia e il profondo senso di liberazione conquistato per se e per i suoi figli. L’attrice e il regista riescono a rendere il pubblico ben partecipe della sofferenza vissuta dalla donna, al punto di farsi perdonare il suo atto decisamente poco ortodosso.
Nell'ardore della nostra camera sarà in scena fino al 4 novembre
IPAZIA PRODUCTION
Presenta
NELL’ARDORE DELLA NOSTRA CAMERA
Testo di Massimo Sgorbani
Regia di Paolo Orlandelli
Con Donatella Busini
Scene Giorgia De’ Conno
Costumi Patrizia Moretti
Ufficio Stampa Andrea Cavazzini
Foto Andrea D’Errico
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