UNA DELLE PAGINE PIÙ VERGOGNOSE DELLA STORIA ITALIANA RIVIVE NELLA DRAMMATURGIA DI ANTONIO MOCCIOLA IN SCENA FINO AL 18 DICEMBRE
Sono passati solamente 35 anni dalla chiusura dell'ultima solfatara in Sicilia, un luogo di sfruttamento e di lavoro disumano in cui giovanissimi ragazzi, spesso orfani o ceduti dalle famiglie per pochi soldi, venivano sfruttati e umiliati svolgendo un lavoro massacrante nel "ventre" della terra. Per raccontare questa triste realtà Antonio Mocciola prende spunto dalle vicende del giovane Sebastiano, l'ultimo solfataro. Rimasto orfano durante il terribile terremoto di Messina del 1908, uno dei più distruttivi del XX° secolo, il giovane vede l'amata madre scomparire nelle viscere di un largo crepaccio creato dal sisma. Al contrario dei corpi del padre restituito dal mare e di quello della sorella ritrovato sotto un albero, quello della madre non verrà mai ritrovato e questo accende nel giovane la speranza che sia ancora viva. Senza possibilità di continuare gli studi, come avrebbe voluto, si vede costretto ad accettare il lavoro nella miniera di zolfo la cui misera paga è per lui il simbolo di poter un giorno riacquistare la sua libertà. Una speranza negata dalla dura realtà di un lavoro che distrugge nel fisico e nell'anima senza possibilità di vie d'uscita. Il giovane subisce ogni genere di umiliazioni. Se riesce a resistere è solo grazie ad una forza interiore dettata dalla speranza di rivedere sua madre nelle profondità di quella terra in cui era precipitata. Dopo parecchio tempo, distrutto dalla stanchezza e dall'ennesima umiliazione, si addormenta e sarà proprio nel sogno che la ritroverà, bella e amabile come l'ultima volta che la vide prima di quel forte terremoto.
L'umiliazione e la via d'uscita dallo stato d'animo che crea, è un tema molto caro a Mocciola che lo denuncia ad ogni occasione possibile. In questo testo la affronta ancora più profondamente e non solo dal punto di vista personale del suo protagonista ma anche dal punto di vista storico e sociale. Il regista Marco Medelin ha diretto questa pièce esaltandone la drammaticità con una precisa scelta di movimenti e intonazioni eseguiti senza imbarazzo dal giovane attore Salvo Lupo che recita l'intero monologo completamente nudo dall'inizio alla fine. I zolfatari effettivamente lavoravano nudi a causa delle elevate temperature che si raggiungevano in quei cunicoli. E all'ingresso nella sala il pubblico trova il giovane già senza veli, a terra in posizione fetale, a simboleggiare la "opposta similitudine" tra la sicurezza ed il calore del ventre materno e l'altrettanto caldo ma certamente non sicuro ventre della terra. Salvo Lupo, attore siciliano di 27 anni, da una prova di resistenza non indifferente rimanendo solo in scena per tutta la pièce. Questo duro monologo diviene un dialogo con altri personaggi che il giovane interpreta con dei cambi di intonazione e di dialetto da non sembrare sia la stessa persona. Forse più a suo agio nei momenti più duri quando incarna il carnefice che non nel racconto, Salvo Lupo ha comunque condotto la narrazione tenendo alta la tensione e l'attenzione dello spettatore. Le dure parole scritte da Mocciola e così ben recitate da Salvo Lupo devono far pensare a quanto tanti giovani ancora oggi sono sfruttati in molte parti del mondo: se le solfatare in Sicilia sono state chiuse, non dobbiamo dimenticare i tanti ragazzini, se non bambini che in Africa o Asia ancora lavorano in miniere per estrarre i minerali necessari a far funzionare le nostre tecnologie occidentali. Il dramma si è solo spostato geograficamente, ma non è purtroppo risolto. Al Teatrosophia fino al 18 dicembre.
MENTITE SPOGLIE ASSOCIAZIONE TEATRALE
&
TEATROSOPHIA
presentano
NEL VENTRE
VOCI DAL CENTRO DELLA TERRA
di ANTONIO MOCCIOLA
adattamento e regia di MARCO MEDELIN
Cast
SALVO LUPO - Sebastiano
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