Benvenuti a una nuova puntata di "Non solo Arcimboldi", la rubrica che analizza le produzioni più di nicchia del Musical italiano. Per una questione di etica professionale mi sento in dovere di avvertirvi di una cosa che riguarda il titolo di oggi: sono in buoni rapporti con l'autore Renato Billi, e lo ero da prima di vedere il musical. Detto questo, a voi giudicare quanto questa recensione sia obiettiva.
Lo spettacolo di cui parliamo è "Joy - la straordinaria vita di Ludwig van Beethoven".
Quale sia il problema principale di questo show lo si capisce sin dal titolo, ed è un problema condiviso con qualsiasi altra opera biografica: l'assenza di una trama vera e propria. Mentre altri lavori sulla vita di Beethoven (come "Amata immortale" o "Io e Beethoven") hanno un filo conduttore (per esempio la ricerca della donna amata del titolo, o la prima esecuzione della nona sinfonia) che usano come pretesto per raccontare la vita de compositore, "Joy" si presenta perlopiù come uno sceneggiato in musica sulla sua vita.
Va da sé che drammaturgicamente parlando il materiale manca, il che è un peccato perché i tempi sono buoni e la scrittura abbastanza fluida. Inoltre quando si tratta di raccontare una vicenda l'autore non risulta affatto sprovveduto: il rapporto tra Beethoven e suo padre (molto romanzato) o la vicenda giudiziaria per l'affidamento del nipote Karl, sono infatti raccontati piuttosto bene.
Un po' forzato l'elemento comico, che suppongo dovrebbe alleggerire lo spettacolo e forse ci riesce. Tuttavia va da sé che, non avendo altra ragione di esistere, non si tratti di una comicità particolarmente raffinata. A volte, però, quello tra la leggerezza e la tragicità della storia narrata può essere anche un bel contrasto. Ne è un esempio quella che credo sia la scena migliore del musical, ovvero quando Karl, subito dopo aver cantato una canzone sfacciatamente pop ("Io non voglio diventare una star") si punta una pistola alla tempia e spara. Un cambio di registro inatteso e per questo molto disturbante.
Le musiche fanno la loro figura e hanno abbastanza personalità per rimanere impresse anche a distanza di mesi. Io ne sono la prova, perché da quando ho visto lo spettacolo a quando mi sono messo a scrivere questo articolo sono passati letteralmente dei mesi (yeah, sono molto pigro) eppure sono ancora in grado di fischiettare la maggior parte delle canzoni. Devo ammettere però che non mi fanno pensare granché a Beethoven, non per colpa dello stile (molto pop, ma penso che nel 2000 nessuno si stupisca più nel veder trattare un soggetto ottocentesco con musiche da canzoni anni '80) è che... sono piratesche! Molto più di quelle di "Pirati e Pirati", paradossalmente!
Meno buoni i testi delle canzoni, che fondamentalmente sono prosa in versi. Certamente un limite dell'autore, compositore per vocazione e liricista per necessità, ma anche una cosa molto comune negli autori di musical italiani, che temono forse di risultare incomprensibili se provano a diventare più poetici. Il che (unito al fatto che Billi se vuole sa essere sentimentale senza problemi, se non nel testo almeno nella musica - andate a sentirvi "Un altro modo di amare") mi fa pensare che molti dei limiti citati in precedenza se li sia imposti l'autore stesso proprio per non correre il rischio di risultare incomprensibile. Fossi stato in lui, è un rischio che avrei corso.
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