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Riccardo Simone Berdini: eclettico artista italiano, autore, vincitore del Premio Nazionale Sandro Massimini nel 2009 e sincero amante del musical theatre che vanta un curriculum di tutto rispetto. Tra gli spettacoli da lui interpretati ricordiamo HAPPY DAYS, GREASE, LES MISERABLES, PINOCCHIO, BEGGAR’S HOLIDAY, 80 VOGLIA DI ’80 ma anche MUSICAL JOURNEY e MUSICAL STARTS. Ho avuto modo di incontrarlo a Reggio Calabria (RC), ultima tappa del tour di Happy Days, prodotto dalla Compagnia della Rancia, e insieme abbiamo sviscerato le problematiche più rilevanti del mondo del musical, genere che in Italia si sta facendo strada grazie a personalità che, come Riccardo, credono fermamente in quello che fanno e mettono anima e corpo nel fare ciò in cui credono!
D: Oggi Fonzie e domani Danny Zucko…
R: E ieri Jean Valjean! E quello è stato il trauma: passare da Jean Valjean a Danny Zucko!
D: Cosa si prova nel vestire i panni di questi due “idoli” senza tempo?
R: [ride, ndr.] Beh, cosa si prova… In realtà non mi soffermo a pensare a cosa si prova. Anche perché non credo che il mondo del musical in Italia abbia una rilevanza tale da poterti permettere di sentire di fare qualcosa di molto speciale. Mi spiego: facciamo un lavoro bellissimo che purtroppo in Italia non è ancora molto considerato! Sento di fare una cosa bella, mi sento fortunato a farla ma non mi sento uno che interpreta l’idolo delle masse, questo no. Però la cosa bella è che per Fonzie ho conosciuto Harry Winkler, ho parlato direttamente con lui via email parecchie volte… e ci salutiamo tuttora! Mentre per Danny Zucko ho sentito John Travolta… no, non è vero! [ride ndr.]
C’è da dire, comunque, che è stato molto più difficile impersonare Fonzie. Danny è un ragazzo esuberante, ma non ha una connotazione fisica o caratteriale ben precisa e, nonostante il film con John Travolta, è stato interpretato mille volte a teatro. Fonzie no: c’è LUI è basta! Danny Zucko rimane un’icona, ma Fonzie È lui (Harry Winkler). Quindi è stata dura perché mi son dovuto relazionare con un mostro sacro della storia della TV e del cinema americano. Mentre in Grease ho già avuto molti predecessori nonché amici: Giampiero Ingrassia, Mirko Ranù, Filippo Strocchi…
D: Anche perché in questo caso nasce prima il musical del film, mentre per Happy Days è il contrario: la serie è insediata nell’immaginario collettivo ormai da quasi mezzo secolo…
R: Esatto! Comunque, ti posso dire una cosa? La risposta principale: E’ FICO!
D: Dopotutto i rispettivi Happy Days e GREASE sono due fenomeni generazionali. Cosa pensi ci sia alla base del loro successo? Qual è l'elemento che, secondo te, li ha resi degli evergreen?
R: Gli anni ’50. Hanno un fascino irresistibile, specie in questo momento di crisi economica. Erano un momento di fioritura, di sviluppo economico ma anche artistico e tecnologico… era un clima sereno, proprio perché si usciva dalla guerra. E poi, in America c’era un benessere pazzesco, tanta ingenuità, tanta fiducia reciproca, tanta semplicità… è una cosa che affascina ancora. Per non parlare del rock’n’roll: un nuovo genere musicale, una nuova cultura, una nuova moda: iniziavano a vedersi le prime minigonne, iniziava la pop-art, iniziava la televisione, iniziava TUTTO: era l’inizio della società moderna!
D: Anche perché, musicalmente parlando, sono musical molto ‘semplici’ se paragonati all’opera di Sondheim, per esempio…
R: GREASE, secondo me, anche se musicalmente molto semplice, è straordinario. Quello che gli manca è una storia vera dietro che, paradossalmente, Happy Days possiede. In Happy Days, i personaggi fanno un’evoluzione, maturano. È il classico sviluppo del personaggio nella drammaturgia: conflitto, superamento del conflitto e miglioramento. Grease, invece, è un pretesto per mettere in scena un’ambientazione, un pretesto per mettere in scena delle musiche stupende. Eppure, stranamente, al grande pubblico sembra più forte la storia di GREASE che quella di Happy Days!
D: Sei anche reduce del successo di LES MISERABLES, prodotto dalla BSMT, Bernstein School of Musical Theatre, in collaborazione con il Teatro Comunale di Bologna. Jean Valjean è uno dei ruoli più ambiti nel panorama del musical moderno e, forse, anche uno dei più complessi (sia psicologicamente che vocalmente). Come ti sei relazionato al tuo personaggio?
R: Mi fa sorridere che dici “ambiti”. Perché la gente (almeno in Italia) ambisce a cose che non sa o non può fare. Jean Valjean lo ambiscono persone che non hanno le capacità tecniche per interpretarlo. Devi avere una voce, una tecnica, un’estensione particolare… è un ruolo che richiede una fisicità, una capacità attoriale nonché una precisione ENORME!
D: Essere il primo Valjean italiano, in una produzione che non ha nulla da invidiare a quelle londinesi o americane, quali emozioni ti suscita?
R: Beh, non ho pensato di essere il primo Valjean italiano. Quello che mi interessava era coronare il sogno e poter andare in scena, almeno per una volta, interpretando il mio ruolo preferito in assoluto, nel mio musical preferito in assoluto, che per me è stato d’ispirazione e che mi ha spinto a fare questo mestiere. Diciamo che l’emozione è stata questa, non tanto quella di “essere stato il primo Valjean italiano a…” e dal momento che si tratta uno spettacolo che non ha ancora molta rinomanza in Italia, non guardo molto a questo fatto anche se, in effetti, è vero! Se mai ci sarà una produzione che farà due anni di tournée e se (magari!) riuscirò ad ottenere il ruolo di Valjean, allora sarà più gratificante in questo senso…
D: Me lo auguro.
R: Eh speriamo! Era il sogno della mia vita, quindi realizzarlo è stato meraviglioso! Altrettanto meraviglioso è stato realizzarlo con questi mezzi. È stata una produzione mastodontica: sessanta elementi d’orchestra, ottanta persone in scena… Anche se era una produzione scarnissima si sono inventati da zero riciclando scene, facendo proiezioni sorprendenti, avvalendosi di tutti gli allievi della scuola (la BSMT, ndr.)… hanno fatto una cosa veramente immensa!
D: È stata anche un’occasione per far conoscere questo titolo anche in Italia dove, come hai già detto, non ha molta rinomanza…
R: Io continuo a dirlo: questo titolo, secondo me, se lo si fa in Italia spacca di brutto. Il pubblico italiano non è abituato a vedere uno spettacolo così coinvolgente a livello emotivo, con la drammaturgia così spessa. Sebbene non sia scritto in maniera eccelsa, perché se si va in fondo a notare alcuni passaggi narrativi della drammaturgia è un po’ un ‘bignami’ de “I Miserabili” di Hugo, è comunque un bignami fatto molto bene che si avvale di un modo di raccontare la storia che cattura lo spettatore! Anche le gente a cui non piace il musical o che non conosce la trama de “I Miserabili”, è venuta a vederlo ed è rimasta sbalordita: lo spettacolo, nonostante i suoi 25 anni, ha un linguaggio così immediato e delle così orecchiabili che, secondo me, avrebbe un successo clamoroso. Non mi domando per quale ragione non lo facciano perché so bene che ci sono dei costi di produzione enormi che nessuno è pronto a sostenere… ma è un vero peccato, perché se ci fosse qualcuno disposto a scommettere su questo titolo sarebbe sicuramente una scommessa vittoriosa, un trionfo!
D: E poi, LES MISERABLES è un musical molto ‘lirico’ quindi possiamo affermare che il collegamento con la tradizione operistica italiana sia immediato. Ad ogni modo, io dico: "purtroppo" (ma c'è anche chi direbbe "meno male") le liriche non sono state tradotte in lingua italiana. La questione degli adattamenti è ostica tanto tra gli appassionati quanto tra i professionisti. In genere tu dove ti collocheresti: tra i "Purtroppo" o tra i "Meno male"?
R: Sono tra i “purtroppo”. Però, nel caso specifico di LES MISERABLES, per soli quattro giorni di repliche avrebbe avuto poco senso ed è stato anche bello farlo in inglese con i sovra-titoli, secondo me. Io sono per gli adattamenti, se fatti bene! Perché purtroppo ci sono quelli che si spacciano per grandi traduttori e poi fanno dei lavori di pessima qualità. E, a mio avviso, si può anche cambiare il significato delle liriche originali anche se devi comunque attenerti al fine di quella canzone… dove voleva arrivare, quello che voleva dire quella canzone. Quello che è importante è avere musicalità, poetica, un gusto proprio: è un talento che o ce l’hai o non ce l’hai. Raramente trovi delle traduzioni fatte bene, ma l’italiano, come lingua, funziona benissimo! Benissimo! Bisogna lavorarci tanto ma si può fare. Basti pensare ai film di Walt Disney: li guardi la prima volta da piccolo e… [canta, ndr.] “Stia con noi, stia con noi, si rilassi d’ora in poi”! Cioè, non ti viene da pensare “Hanno tradotto Be Our Guest” No! Funzionano!
D: C’è comunque da dire che la lingua è stato uno degli ostacoli più grossi per l’importazione di musical stranieri in Italia.
R: Il ROCKY HORROR, ad esempio!
D: Esatto! A questo proposito, quali titoli americani vorresti vedere sui palcoscenici italiani nella prossima stagione (quella 2013-2014, s’intende)?
R: LES MISERABLES.
D: Quale personaggio, o quali personaggi, ti piacerebbe interpretare?
R: Jean Valjean. [ride, ndr.] Mi piacerebbe vedere uno spettacolo che osi un po’ di più. Un AMERICAN IDIOT, per esempio, che secondo me potrebbe avere molto successo in Italia, insomma… avere i Green Day alle spalle!
D: Ma non solo la lingua, anche altri numerosi problemi hanno influito, e forse continuano ad influire, sull'insediamento del musical theatre anglosassone in Italia e certamente la crisi non aiuta: s'innesca quindi un circolo vizioso che allontana la gente dai teatri e costringe i produttori a puntare su titoli dal successo assicurato, per non dire "facile", che a lungo andare porteranno a 'declassare' il musical a un semplice show per bambini.
R: Esatto! Hai capito tutto! È come un gatto che si morde la coda. Perché se il produttore sceglie il titolo giusto, invece di puntare sul titolo che pensa sia sicuro ma che in realtà è completamente senza fondamento, l’avrà vinta anche con il pubblico! È vero che la gente non ha soldi, è vero che c’è crisi, ma, a maggior ragione, nessuno andrà mai a vedere uno spettacolo se non sa che è qualcosa di memorabile. Per questo dico LES MISERABLES: è uno spettacolo che dopo averlo visto, esci dal teatro e dici: “Ho visto qualcosa di memorabile”. Questa è la differenza! Sì, il rischio diventa un optional ma se la gente sa che c’è qualcosa di straordinario e va a vederlo, s’innesca il passa parola e se tu non ci vai diventi uno sfigato! Diventa la moda del momento. Il teatro è così, il cinema è così: tutti parlano di Batman – Ah, devo andare a vederlo; tutti parlano di The Avengers – Ah, devo andare a vederlo. È la stessa cosa: avere un’esperienza memorabile, sta tutto lì.
D: Nonostante le premesse non siano tra le più rosee, quali sono le prospettive per il domani? Secondo te bisogna rilanciare, anche in campo teatrale, il Made in Italy?
R: Si è il momento di rilanciare il Made in Italy ma c’è un problema: noi abbiamo dei performers straordinari ma, dietro le quinte, in quanto a scrittura, regia e composizione siamo messi male. Ci sono troppo persone che non sanno fare queste cose eppure le fanno. Io dico sempre due cose: (1) perché queste persone non prendono esempio dai grandi maestri? Abbiamo migliaia di personalità straordinarie nel teatro musicale e non si prende esempio. Quindi, prima cosa: supponenza e presunzione di non imparare dai modelli. (2) Seconda cosa: si deve studiare. Non ci si può improvvisare. Abbiamo delle storie bellissime da poter raccontare e trasformare in spettacoli musicali ma manca lo studio. Non mi riferisco a tutti, naturalmente ci sono delle eccezioni: Marco Iacomelli, l’aiuto-regista di Saverio Marconi per Grease, ad esempio, ha alle spalle un grande studio di regie liriche, una laurea… lui ha studiato! Non si è improvvisato regista! In Italia tutti si improvvisano registi, scrittori… è questo il problema!
Come vedo il futuro? Appena azzeccano il titolo giusto sarà lo spartiacque per un nuovo modo di concepire il teatro anche in Italia. E sicuramente questo spartiacque sarà un mio spettacolo [ride, ndr.]
D: Questa domanda allora calza a pennello: progetti futuri?
Beh il mio sogno sarebbe vedere BATMAN scritto da me!
D: Però! Batman non è mai stato pensato per un musical (se escludiamo HOLY MUSICAL B@MAN della Team Starkid): c’è Superman, c’è Spiderman…
R: Batman è in assoluto il più teatrale di tutti i supereroi ed è spettacolare a livello di tensione narrativa, però (lo spettacolo) dev’essere scritto BENE. Ad esempio, SPIDERMAN a Broadway, ha un difetto: ha una storia orrenda. Dal momento che i fumetti sono ormai una fonte infinita di storie e di narrazioni straordinarie al giorno d’oggi, tant’è che il cinema vi attinge spesso a piene mani, forse avrebbero dovuto sfruttare di più quel materiale. Anche i film di Spiderman hanno delle buone storie e sono fatti molto bene. Inoltre, è musicalmente poco teatrale. Peccato! Il mio Batman no… [ride, ndr.]
Sto anche riscrivendo il mio UNA LUCE NEL BUIO. C’è il trailer su Internet ma è una versione molto spicciola e primordiale e adesso bisogna lavorarci su.
E poi c’è un altro sogno nel cassetto, oltre Batman, che è IL CACCIATORE DI LUCE, una saga inventata da me e da un mio amico. Siamo dei fan di Christopher Nolan. Le sue storie, con l’impatto visivo alla Tim Burton e musiche dei Muse o degli U2: più o meno è questo quello che immagino per il futuro del teatro musicale. A mio avviso, sono storie che hanno un tiro pazzesco, che riporterebbero i giovani a teatro e che farebbero vivere allo spettatore qualcosa di memorabile. Quindi speriamo di farcela.
D: Sono fiducioso. Un saluto ai nostri lettori (d'oltreoceano e non).
R: Aspettatemi che sto arrivando! I’m coming, I’m coming to New York.
Riccardo Simone Berdini: versatile Italian artist, author, winner of Premio Nazionale Sandro Massimini in 2009 and sincere lover of musical theatre who boasts a remarkable curriculum. Among the shows he played, we can number: HAPPY DAYS, GREASE, LES MISERABLES, PINOCCHIO, BEGGAR’S HOLIDAY, 80 VOGLIA DI ’80 but also MUSICAL JOURNEY and MUSICAL STARTS. I had the chance to meet him in Reggio Calabria (Italy), where he’s in tour with Happy Days, produced by Compagnia della Rancia, and we analyzed together the most relevant issues of musical theatre, a genre that in Italy is fighting its way thanks to personalities who, like Riccardo, firmly believe in what they’re doing and unrelentingly do what they believe in.
Q: Fonzie today and Danny Zucko tomorrow…
A: And Jean Valjean yesterday! That was a shock: passing from Jean Valjean to Danny Zucko!
Q: How does it feel to be in this two timeless idols’ shoes?
A: [he laughs, ed.] Well, how it feels… Actually, I don’t linger on thinking about how it feels. Especially because I believe that the Italian musical theatre scene isn’t so relevant to afford to feel like you’re doing something special. Let me explain: we do a wonderful job which, unfortunately, isn’t much considered in Italy to this day! I feel like doing a nice thing, I feel lucky to do it but I don’t feel like being the man who plays an idol for people, this is not the case.
But the curious thing is that while reading the role of ‘Fonzie’ I got to know Harry Winkler, I chatted with him by email many time and we still keep in touch! Whereas, while reading for Danny Zucko I got in contact with John Travolta… okay, that was a joke! [he laughs, ed.]
However, I have to admit that it was far harder to play Fonzie. Danny is an ebullient guy, but he hasn’t got a precise physical or temperamental connotation and, in spite of the movie starring John Travolta, this character has been played thousand times in theatres. But Fonzie is different: he’s the ONLY ONE and that’s all! Danny Zucko is still an icon, but Fonzie is the ONE. Hence it was difficult because I had to relate with a giant of the history of the American cinema and television. Whereas, in Grease, I already had many predecessors as well as friends: Giampiero Ingrassia, Mirko Ranù, Filippo Strocchi…
Q: Especially because in this case the musical came before the movie, whereas Happy Days made the opposite process: the TV show has settled in the collective imagination for half a century.
A: Exactly! However, can I tell you something? The principal answer: IT’S COOL!
Q: After all, even Happy Days and GREASE are two generational phenomena. What do you think is at the basis of their success? What is, according to you, the element that has made them evergreen?
A: The Fifties. They have an irresistible charm, especially in these days of financial crisis. They were flourishing years of economic, artistic and technologic development… there was a peaceful atmosphere, especially because they had just came away from the war. Then, in USA there was a terrific wealth, hence naivety, mutual confidence, simplicity… it’s something that is still fascinating. Not to mention the rock’n’roll, a new musical genre, a new culture, a new fashion: the first miniskirts began to came out as well as pop-art, television… EVERYTHING! It was the beginning of modern society!
Q: Also because, musically speaking, they’re very ‘simple’ musicals, especially if we compare them to Sondheim’s works, for instance…
A: GREASE, in my opinion, even if its music is very simple, is extraordinary. What it lacks is a true story at its basis which, paradoxically, Happy Days has. In Happy Days, the characters go through a process of evolution, they mature. It’s the traditional development of the character in dramaturgy: conflict, overtaking of the conflict and improvement. Grease, instead, is a pretext to stage a cultural background, a pretext to perform marvelous songs. Nevertheless, “Grease” seems stronger than “Happy Days” to the audience!
Q: You’re also back from the success of LES MISERABLES, coproduced by BSMT, Bernstein School of Musical Theatre, and Teatro Comunale di Bologna. Jean Valjean is one of the most sought-after roles in the modern musical theatre panorama and, perhaps, one of the most complex (both psychologically and vocally). How did you relate to your character?
A: Saying “sought-after” makes me smile. Because there are performers (at least in Italy) who strive for something they are not able to do. Jean Valjean is sought-after by performers who haven’t got the technical capabilities to play that role. You must have the voice, the technique, that particular vocal range… it’s a character that requires that physique-du-role, a certain stage presence as well as a HUGE precision.
Q: How does it feel to be the first Italian Valjean, in a production that is no less enviable than the American or English ones?
A: Well, I didn’t think to be the first Italian Valjean. The only thing I wanted was to realize my dream and perform, just for once, my favorite character ever in my favorite musical ever. A character that inspired me and urged me on doing this job. That’s what I felt, not that “I was going to be the first Italian Valjean to…” and since this is a show that is quite unknown in Italy, I don’t care about this fact even if, actually, it’s true! If there will ever be a production that will go on tour for two years and if I will get that role (I wish!), then it will be more satisfying in this sense…
Q: Good luck!
Finger crossed! It was the dream of my life and realizing it was wonderful! Realizing it with these means was wonderful, as well. It was a huge production: sixty orchestral players, eighty performers on stage… Even if it was a sober production they started from zero recycling sceneries, doing astonishing screenings, availing themselves with the students of the school [BSMT, ed.]… they did a truly amazing job!
Q: It was also a chance to convey this title in Italy where, as you said before, it’s quite unknown…
A: In my opinion, if this title were staged in Italy it would be a success. The Italian audience is not used to a show that is so emotionally involving, with a significant dramaturgy. Although it isn’t written in an excellent way because, if we go deep into noticing some passages of the dramaturgy, it is a sort of “Bignami” of Hugo’s “Les Miserables,” but a very well done “Bignami” that avails itself with a great narrative capacity that captures the audience! Even those who don’t like musical theatre or don’t know the plot of “Les Miserables,” came to see the show and were amazed: the language is so direct and the tunes are so catchy that, in my opinion, the show would have a resounding success despite its 25 years. I do not wonder why they don’t produce this show because I know that production costs are enormous and no one is able to bear them… but it’s a pity, because if there were someone willing to bet on this title, it would surely be a winning bet, a triumph!
Q: “Les Miserables” is an ‘operatic musical’ and so we can say that the link with the Italian Opera tradition is direct. Anyway, I’d say: “unfortunately” (but there’s also who would say “Thank goodness”) the lyrics have not been translated in Italian. The problem of the adaptations is difficult for both amateurs and professionals. Where would you put yourself: between the “Unfortunately(s)” or among the “Thank goodness(s)”?
A: I’m among the “Unfortunately(s)”. But, in the particular case of LES MISERABLES, the adaptation would have been senseless for a four days run and singing it in English with surtitles was wonderful, as well. I am for the translations, if they’re well-done! Because, unfortunately, there’re those who pose as great translators while their works are terrible. In my opinion, the meaning of the original lyrics can also be changed even if you have to stick to the aim of that song… where the song wants to arrive, what the song want to say. It’s important to have musicality, poetics and good taste: it’s a talent that you either got it or you haven’t. You find well-done translation very rarely but Italian, as a language, works perfectly! Perfectly! Hard work is needed, but we can do it. Just think about Walt Disney’s movies: you watch them for the first time when you’re a child and… [he sings, ed.] “Stia con noi, stia con noi, si rilassi d’ora in poi”! In other words, you wouldn’t think at all: “They translated Be Our Guest”. They work!
Q: However, we have to say that the language was one of the biggest obstacles for the introduction of foreign musicals in Italy.
A: The ROCKY HORROR, for example!
Q: Exactly! By the way, what show would you like to see on the Italian stages for the next theatre season (2013-2014)?
A: LES MISERABLES!
Q: What role, or roles, would you like to play?
A: Jean Valjean. [he laughs, ed.] I’d like to see a show that “dares” a little bit more. AMERICAN IDIOT, for example, could hit it big in Italy, in my opinion… with the Green Day to fall back on!
Q: But not only language, there are other several problems that influenced, and perhaps they’re still influencing, the settlement of the Anglo-Saxon musical theatre in Italy and, undoubtedly, this financial crisis doesn’t help: it’s a vicious circle that keeps people away from theaters and forces producers to bet on shows of guaranteed (or “easy”) success that in the long run will ‘downgrade’ musical dramas to kiddie shows. Theatre becomes a surplus and risk becomes an optional.
Exactly! That’s the point! It’s like a cat chasing its tail. Because if the producer chooses the right title, instead of betting on a title which he thinks to be ‘safe’ even if it is completely without foundation, he will have his way with the audience, too! People don’t have money, our country is on the verge of the breakdown, but, all the more so, no one will ever go to see a show if he doesn’t know that it’s something memorable. That’s why I say LES MISERABLES: it’s a show that once you have seen it, you exit from the theatre and say: “I saw something memorable”. That’s the difference! Yes, risk is an optional but if everybody knows that there’s something extraordinary, goes to see it and spreads around the news, if you don’t go to see it, you will considered a nerd! It becomes the fashion of the moment. Theatre works like that, cinema works like that: everyone’s talking about Batman – Oh, I have to see it; everyone’s talking about The Avengers – Oh, I have to see it. It’s the same thing: it all lies in having a memorable experience.
Q: Despite the premises are not so good, what are the expectations for the future? According to you, do we need to re-launch the Made in Italy in this field?
A: Yes, we need to re-launch the Made in Italy but there’s a problem: we have extraordinary performers but, behind the scenes, in terms of writing, directing and composing we’re up the creek without a paddle. There’re those who simply can’t do these things and yet they do them. As I always say, there are two problems: (1) why don’t these people take the grand masters as a model? We have thousand extraordinary personalities and we don’t follow their example. So, first problem: arrogance and presumption not to follow the masters. (2) Second problem: study is needed. One simply can’t ‘act’ as a playwright and so on. We have wonderful stories to tell and turn in to musical shows but we lack study. Of course, there are some exceptions: Marco Iacomelli, Saverio Marconi’s assistant director for GREASE, for instance, has a great study of direction and a degree to fall back on… he has studied! He has not acted as a director! In Italy they all act as directors, lyricists, composers… that’s the problem!
Expectations for the future? As soon as they hit the right title it will be the divide for a new way to conceive theater in Italy. And, of course, this divide will be a show written by me! [he laughs, ed.]
Q: Then, this question fits like a glove: future projects?
Well, my dream is to stage BATMAN, the musical I wrote.
Q: Gee! Batman has never been adapted for theatre (if we don’t consider Team Starkid’s HOLY MUSICAL B@MAN): there’s Superman, there’s Spiderman…
A: Batman is the most ‘theatrical’ among superheroes and it has a spectacular narrative tension, but (the show) has to be WELL written. For instance, SPIDERMAN on Broadway has a fault: it has a horrible plot. Since comics are now an endless source of extraordinary stories and tales, so that movies often draw from them, perhaps they should have took more advantage of that material. Spiderman films have good plots too and they’re very well-done. Besides, its music is not theatrical. What a pity! My “Batman” is far better… [he laughs, ed.]
I’m also re-writing my A LIGHT IN THE DARK. There’s the trailer on the web but it’s a very simple and primordial version and it needs to be improved.
Then, I have another secret wish, besides Batman, which is THE LIGHT HUNTER a saga invented by me and a friend of mine. We’re fans of Christopher Nolan. His stories, with the visual impact a la Tim Burton and music by Muse or U2: more or less that’s what I imagine for the future of musical theatre. In my opinion, these are very compelling stories which would bring youth back to theatres and make the audience experience something memorable. So, let’s hope all goes well.
Q: I am hopeful. A message of greeting to our American (but not only) readers.
A: Get ready for me! I’m coming, I’m coming to New York.
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