Dal 2 al 4 marzo il tour italiano di "CABARET" della Compagnia della Rancia ha fatto tappa al Teatro Nuovo di Verona. Il musical del 1966 di John Kander e Fred Ebb, ispirato al romanzo "Addio a Berlino" di Christopher Isherwood, è stato tradotto in italiano e riadattato dalla compagnia di Saverio Marconi e da mesi gira l'Italia in un tour carico di successi. La trama, ambientata nella Berlino del 1931, ruota attorno alle vicende del Kit Kat Klub, del suo Emcee (Maestro delle Cerimonie), della ballerina e attrice inglese vorrei-ma-non-posso Sally Bowles e del giovane insegnante americano Cliff Bradshaw appena giunto in città. La storia d'amore tra i due si alterna ai numerosi numeri di cabaret che animano il Kit Kat Klub, mentre il clima politico e l'avanzata del nazismo vanno lentamente ad invadere ogni aspetto della vita dei protagonisti.
Ancora una volta la Compagnia della Rancia di Saverio Marconi si dimostra sinonimo di qualità: un cast e una regia eccezionale hanno portato in scena un musical che ha fatto la storia del teatro musicale americano.
La scelta di portare nelle sale italiane la versione originale di "Cabaret" è di per sé una scelta coraggiosa e degna di nota: lo spettacolo è, per lo meno in Italia, senza dubbio oscurato dalla versione cinematografica di Bob Fosse del 1972. Nulla da ridire sull'eccellente trasposizione su pellicola che ha dato negli anni Settanta nuova luce all'opera, grazie anche alle brillanti interpretazioni di Liza Minnelli, Michael York e Joel Grey, ma è d'obbligo sottolineare la presenza di grandi, enormi differenze che intercorrono tra l'opera originale e il film. Prendiamo come esempio la canzone "Cabaret", presente in entrambe le versioni: tutti conosciamo il "Cabaret" di Liza Minnelli, una sorta di anthem alla leggiadria e alla frivolezza, un motivetto ironico senza particolari sfumature tragiche al suo interno. Una canzone che nel suo contesto teatrale originario assumeva tutt'altro significato, andando a rappresentare uno dei momenti più tragici dell'opera; una canzone non cantata ma urlata dal personaggio di Sally Bowles che, persa ogni speranza, ha raggiunto l'apice di disperazione. Sono sicura che molti degli spettatori, abituati al "Cabaret" di Liza, si saranno trovati spiazzati davanti all'eccellente interpretazione di Giulia Ottonello che ha saputo cogliere a pieno l'essenza tragica del personaggio.
Ma è proprio questo il compito di "Cabaret": spiazzare e sconvolgere. Far divertire il pubblico, intrattenerlo, illuderlo con promesse di amore e successo per la prima ora e mezza per poi sradicare ogni speranza in un brevissimo secondo atto. Nessun accenno all'avanzata del partito nazista fino al termine del primo atto: tutto procede normalmente, per come si possa intendere la normalità nella vita di giovani artisti squattrinati nella Berlino degli anni Trenta. Poi, come un fulmine a ciel sereno, la svastica prende il sopravvento sul clima leggero e goliardico del Kit Kat Klub, conducendo velocemente e senza freni alla tragedia della Shoah.
Tanto di cappello ai due attori protagonisti: Giampiero Ingrassia e Giulia Ottonello. Ingrassia si conferma uno dei migliori attori nel panorama teatrale italiano, il suo Emcee trasmette fin dal primo numero la giusta ironia e si trasforma gradualmente durante lo spettacolo, liberandosi della sua artificiosa maschera e rivelando tutta la sua tragica essenza umana. Lo stesso vale per Giulia Ottonello, che dimostra di saper gestire perfettamente tutte le sfaccettature di Sally Bowles, dalla "perfectly marvelous girl" al break-down delle ultime scene. E giusto per ribadire il concetto, la sua versione di "Cabaret" è stata semplicemente stupenda.
Semplice e d'impatto la scenografia, con la scritta al neon "Cabaret" in bella vista per tutta la durata dello spettacolo. Di forte, fortissimo impatto scenografico è naturalmente la chiusura dello spettacolo che, detto senza spoilerare troppo, lascia gli spettatori con un'immagine difficilmente dimenticabile.
Rimane solo qualche perplessità relativa alle traduzioni. Tradurre un qualsiasi spettacolo non è mai facile, tradurre un capolavoro lo è ancora meno. In generale le traduzioni erano azzeccate e hanno saputo rendere il testo originale, pur sacrificando metafore o giochi di parole (come nel caso di "Mein Herr"). In altri casi, invece, sono rimasti giochi di parole che tradotti in italiano appaiono troppo forzati ("I want you for my wife" che diventa alla lettera "Ti voglio per mia moglie"). E infine la canzone "So what" tradotta con un opinabile "Che fa?". Non lo so, che fa?
Ricordiamo che "Cabaret" continuerà a girare l'Italia fino al 4 aprile, vi invitiamo quindi a controllare le prossime date ed affrettarvi a teatro!
CABARET
Compagnia della Rancia
Testo di Joe Masteroff
basato sulla commedia di John Van Druten
e sui racconti di Christopher Isherwood
Musiche: John Kander
Liriche: Fred Ebb
Traduzione: Michele Renzullo
Adattamento: Saverio Marconi
Con
Giampiero Ingrassia, Giulia Ottonello, Mauro Simone, Altea Russo,
Michele Renzullo, Valentina Gullace, Alessandro Di Giulio, Ilaria
Suss, Nadia Scherani, Marta Belloni, Andra Verzicco, Gianluca Pilla
Scene: Gabriele Moreschi e Saverio Marconi
Costumi: Carla Accoramboni
Coreografie: Gillian Bruce
Supervisione musicale: Marco Iacomelli
Direzione musicale: Riccardo Di Paola
Disegno luci: Valerio Tiberi
Disegno fonico: Enrico Porcelli
Regia di Saverio Marconi
Produzione esecutiva di Michele Renzullo
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