"Come fai a dire che quello spettacolo non ti piace se non l'hai visto?"
"Come fai a dire che quello spettacolo non ti piace se non l'hai visto tutto?"
"Come fai a dire che quello spettacolo non ti piace se non l'hai visto tutto dal vivo?"
"Come fai a dire che quello spettacolo non ti piace se non l'hai visto tutto dal vivo quattro o cinque volte?"
"Come fai a dire che quello spettacolo non ti piace se non l'hai visto tutto dal vivo quattro o cinque volte e non conosci a menadito il fumetto da cui è tratto?"
Queste sono alcune delle obiezioni che tipicamente vengono sollevate di fronte a una critica sgradita.
Parliamoci chiaro: novantanove volte su cento lo scopo di chi dice questa roba è semplicemente tappare la bocca al proprio interlocutore facendolo passare per impreparato. Tuttavia nell'epoca della comunicazione di massa la questione è seria, e non si ferma di certo all'ambiente teatrale: quanto deve essere approfondita la propria conoscenza di un'opera, di un fatto o di un argomento per potersi esprimere a riguardo?
Faccio un esempio. Di recente è tornato in scena uno spettacolo di una decina di anni fa (non faccio nomi perché non è questo che mi interessa) in una nuova versione. Io e un'altra ragazza, in una discussione nata a riguardo, abbiamo fatto notare che la prima versione non ci era piaciuta per via dei testi imbarazzanti e di un copione che non sfruttava al meglio il soggetto di partenza. Come potevano queste cose migliorare grazie a un nuovo allestimento?
La risposta che abbiamo ricevuto, ovviamente, è stata: "prima vedetelo, poi potrete giudicare". Ma se il problema sono i testi, ed è ufficiale che i testi rispetto alla prima versione non sono cambiati, in che modo vedere il nuovo allestimento dovrebbe far cambiare idea allo spettatore? Al massimo le cose che ora sono diverse potranno essere così belle da far dimenticare alcuni problemi, ma i problemi rimarranno.
È vero che quando si parla di una cosa bisogna conoscerla, ma è anche vero che bisogna conoscerla tanto quanto serve. Avere mille informazioni a riguardo, se poi non si è in grado di organizzarle, non serve a nulla.
Ad esempio, per dire che "Hercules" è un film che fa largo uso di anacronismi a scopo umoristico non serve assolutamente a nulla guardarlo tutto e leggere mille interviste agli autori, basta guardare i primi dieci minuti.
Lo stesso dicasi per la questione degli spettacoli "visti dal vivo": un conto è dire "Non puoi giudicare la tecnica di quel cantante se non lo hai sentito in teatro" (anche se anche in quel caso tutto dipende da cosa si è criticato) ma se il problema è ad esempio un buco di sceneggiatura a che accidenti serve vedere lo spettacolo dal vivo?
Il problema è che quando si parla di teatro (e non solo) non lo si fa quasi mai in maniera sistematica, avendo ben presente dove guardare e perché, e siccome "chi non ha testa ha gambe" si punta a sciorinare quante più informazioni possibili secondo il più becero nozionismo.
Sembra la barzelletta del tizio che va al bar e chiede un cappuccino con brioche. Gli dicono che le brioche sono finite e allora lui chiede un caffè con brioche. Gli ripetono che le brioche sono finite e allora lui chiede un succo di frutta con brioche. Alla fine il tizio si arrabbia perché, nonostante la sua buona volontà nel fare mille richieste diverse, il barista non ne ha saputa esaudire nemmeno una.
Intendiamoci: è possibilissimo che in un lavoro tutto sommato di buon livello ci sia un'unica sbavatura non così grave da comprometterlo, come è possibile il contrario (un lavoro pessimo contiene un unico elemento decente, non così rilevante da salvarlo). Se giudicassimo la carriera di Damiano Damiani dal solo "Alex l'ariete", ci perderemmo un sacco di capolavori.
Tuttavia, questo non è forse parte del gioco? Esistono bei libri penalizzati da una copertina orrenda o da un titolo infelice, serie TV per adulti spacciate come prodotti per l'infanzia, trailer fatti (talvolta volutamente) così male da far pensare a un film completamente diverso da quello uscito al cinema, come per esempio il trailer de "Il labirinto del fauno".
Per non parlare poi di vere e proprie truffe: quando uscì "Il Signore degli Anelli" la Newton&Copton pubblicò un libro intitolato "Il regno dei signori dell'anello" con un'illustrazione di copertina che ricordava la Contea, chiaramente con l'intento di approfittarsi del successo del film tratto dal libro di Tolkien. Si trattava in realtà di un saggio sulla leggenda del Graal.
Che dire? Prendetevela con gli addetti al marketing! Caveat emptor! Il modo di presentare un prodotto fa parte del prodotto stesso, specialmente in un ambiente come quello teatrale.
Ovvio che nessuno giudicherà mai uno spettacolo o un film dal trailer ma dare un'idea al pubblico rispetto a quello che andrà a vedere è esattamente il motivo per cui i trailer esistono. Non per niente è nata una categoria di video di YouTube chiamata "trailer reaction" dove, come dice il nome, la gente parla delle proprie aspettative su uno spettacolo.
Tutto dipende, per l'appunto, da cosa vuoi fare. Se vuoi parlare di aspettative, non c'è niente di strano se parli senza aver visto lo spettacolo. Se vuoi parlare di una cosa che si capisce dalla locandina (io ad esempio non amo gli spettacoli basati su "Romeo e Giulietta" perché è un soggetto inflazionato) la locandina basta e avanza. Del resto Rossini, parlando del "Lohengrin", disse: "Un'opera non si può giudicare al primo ascolto, ma io di certo non ho intenzione di ascoltarla una seconda volta". Giustissimo: un'opera può avere in sé le idee migliori del mondo ma se chi la ascolta crepa di noia a battuta 25... beh... queste idee non emergeranno mai.
La risposta alla domanda del titolo, quindi, è: "dopo il tempo che serve per formarsi un parere basato su qualcosa di concreto".
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