Di nuovo in tour lo show di Lopez-Solenghi
Si è da poco conclusa al Teatro Olimpico la prima della reprise del fortunato spettacolo Dove eravamo rimasti, in tour ora per l’Italia, protagonisti Massimo Lopez e Tullio Solenghi, che ne firmano anche la scrittura, con la collaborazione di Giorgio Cappozzo.
Lo show, seppure “aggiornato”, riprende quello debuttato (con successo) lo scorso anno, precisamente il 10 novembre 2023, al Teatro Comunale di Ferrara, in prima nazionale.
Ma, prima che si possa pensare che il titolo possa avere un doppio significato e riallacciarsi proprio a quello show, anticipo che sarebbe in errore: fu forse la prima volta che (citando un interessante articolo di Carlo Tomeo), nella fortunata scelta del titolo, si fece un accenno alla ri-partenza in seguito al periodo del covid, che aveva chiuso il mondo in casa, punendo più di ogni altro il teatro e i suoi attori.
Molti spettacoli furono sospesi, i teatri chiusi, e laddove si tentava di continuare –e ovviamente non erano i big- si vedevano decine di piccole compagnie andare addirittura in scena con la maschera sul viso, donandoci delle versioni indubbiamente peculiari (stile “bandito” cyberpunk postmoderno) dei grandi classici (e probabilmente i “costumi” furono pure fra i più costosi della storia, dato che ai tempi le mascherine si vendevano a 100 euro al pezzo).
Ecco dunque che Dove eravamo rimasti torna di nuovo in scena: uno “spettacolo di arti varie” lo definisce la sinossi, ma a me piace più parlare di esercizi di stile, perché questa definizione dà a mio parere più dignità all’esibizione di Lopez e Solenghi, che non si limita alla pura gag, ma è frutto di una sapiente preparazione accademica, dello studio dei tempi, dei toni, di un’auto-regia ben collaudata e di una chimica che (seppur mutata nel tempo) funziona sempre molto bene.
Le trovate e gli escamotage sono molti, e i “groupie” più accaniti dell’ex Trio li conosceranno indubbiamente tutti: dalla lectio magistralis che Lopez/Sgarbi impartisce al maltrattato allievo Solenghi, al dialogo tra il Presidente Mattarella che, volendo entrare a far parte del mondo del cinema, chiede a Papa Francesco di procurargli qualche “Santo in Paradiso” (letteralmente parlando), al racconto di “Cappuccetto rosso”, con la comica e farraginosa ricerca di un linguaggio che non si presti ad accezioni che potrebbero essere ritenute politicamente scorrette.
Tema più che mai attuale in una società che è riuscita, recentemente, a rendere politicamente scorrette tutte le fiabe con cui siamo cresciuti. E dunque, come in ogni fiaba che si rispetti, c’è qualcosa che questo spettacolo ci lascia. E non è una semplice morale, perché le morali servono ad ammaestrare chi non pensa. Per chi pensa, invece, si solleva una domanda: dove eravamo rimasti? L’interrogativo non è nel titolo della pièce, ma rimane sospeso alla chiusura del sipario dello show al teatro Olimpico che ha visto protagonisti due mattatori di lunga esperienza.
Vedere in scena il duo Solenghi-Lopez rende palese a chiunque che i due calchino ormai le assi del palcoscenico con sapienza da tempo e, come ogni comico che si rispetti, accordano -come è giusto che sia- la propria comicità e la propria satira ai tempi che corrono.
Perché il compito del Comico è (o dovrebbe essere) questo: raccontare, parodiare e denunciare la realtà di questi tempi, i governi, la società, le persone – Shakespeare docet- affinché noi “comuni mortali” che guardiamo possiamo renderci conto dell’ipocrisia, della maschera della società, per smascherarla e smascherarci.
Il punto è: siamo pronti a vederla, questa maschera? Siamo pronti a comprenderlo? In caso contrario, quello di Lopez e Solenghi ci sembrerà un semplice show di avanspettacolo in cui si vedranno semplicemente due (pur bravissimi) performer interagire sul palcoscenico con un’orchestra, donandoci momenti di comicità tout court, fatta di cavalli di battaglia “rispolverati” e sapientemente miscellati a nuovi, interessanti, spunti.
Ma c’è di più, per chi saprà vedere e non soltanto “guardare”: come diceva il buon Gigi: “A me gli occhi, please”, guarda il palcoscenico e lasciati guidare verso una sapiente (e ormai dimenticata) didattica della visione, non dell’arte ma della realtà.
E, oltre a questo nobile scopo, questo spettacolo ci aiuta a ritrovare il gusto per la risata, in un mondo in cui ormai sembra “normale” ridere per la buccia di banana, la gara di rutto libero e il mondo in cui l’impiegato sfigato e con qualche chilo di troppo e la donna Barbie senza cervello sono gli unici prototipi cui l’attore e l’attrice comici possono fare riferimento. Perché questa è la struttura della commedia all’italiana degli ultimi anni.
Grazie al cielo esistono grandi Donne dello Spettacolo come Anna Marchesini, donne che fanno delle proprie fragilità la materia da cui (coraggiosamente) attingere per creare i propri personaggi comici, perché questo fa il vero Attore Comico: parte da se stesso; se ci pensate, Woody Allen è diventato famoso così, con l’auto-ironia, una cosa che sempre più sembra essere diventata merce rara, al giorno d’oggi, in una società in cui tutti dobbiamo essere schiavi di un sistema, che ci permette di scherzarci su.
Momento commovente, nello spettacolo, è infatti il ricordo di Anna Marchesini, della quale appaiono sullo schermo del fondale diverse fotografie, e l’omaggio che le viene fatto, con la toccante canzone di Gianmaria Testa “Dentro la tasca di un qualunque mattino”.
Lasciamo dunque il teatro con una lacrima, oltre che con una risata. E poi con qualcosa a cui pensare.
Perché, forse, è giusto che gli Artisti, oggi, a fine spettacolo ci lascino non con una risposta ma con un interrogativo; che, quando il sipario cala, lascino il pubblico con qualcosa su cui riflettere, quando usciti da teatro si avviano verso casa, pronti a ricominciare le loro vite, rientrare nella loro quotidianità, riprendere le fila dei loro discorsi, rimasti in sospeso per un paio d’ore in cui quella “sospensione dell’incredulità” che è alla base di ogni racconto lascia invece lo spazio alla razionalità della realtà, per tornarci a domandare, ancora una volta: bene, e dunque… dove eravamo rimasti?
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